[MyGdR] Lex Arcana – Capitolo II

La caccia continua

Il mattino seguente un ragazzo appena adolescente si presentò al castrum con due sporte di vimini colme di pane appena sfornato, frutta fresca e una grossa forma di formaggio. Gaio attendeva al cancello da prima dell’alba, sperando in qualche altro indizio utile, ma capì subito di aver fatto un buco nell’acqua. Davanti a sé aveva solo un ragazzo. Lo pagò, prese il cibo e lo mandò via.

Caveat emptor”. Disse una delle guardie al cancello, mentre indicava col mento il cibo appena comprato.

Gaio annuì distrattamente, i suoi pensieri erano rivolti alla partenza ormai prossima.

I cavalli erano stati sellati, tutti i custodes controllarono il loro equipaggiamento e Gaio riempì per tutti alcune borse di pelle con il cibo appena acquistato e con otri d’acqua.

“Io non lo mangerò” disse Elettra con sguardo torvo “sarebbe davvero stupido morire così”.

“Non credo sia avvelenato, perché farlo in città ed esporre così banalmente eventuali complici? Non dimenticare che l’uomo col tatuaggio era già fuori Augustodunum”. Rintuzzò secco Pendaran.

Elettra sbuffò e spronò il cavallo.

Uscirono dal castrum che il sole era di un arancione liquido, appena sorto alla loro destra, coperto da qualche lontanissima nuvola dritta come una lancia. Portarono i cavalli alla briglia fino alla porta nord della città, dove montarono in sella.

Zenobia sopra i suoi abiti da viaggio, aveva indossato un’ampia veste colorata di un prezioso blu notte. Sotto di essa aveva infilato bracciali e schinieri di cuoio leggero, che mostravano appena alcuni lembi esterni. Sul tronco portava una sorta di corsetto intarsiato che si intrecciava sul seno e si agganciava alle spalle.

Gaio ed Elettra avevano armato i loro archi e li avevano fissati alla sella con un nodo a sgancio veloce. Pendaran pareva non portasse nulla di nuovo, a parte un’aria più silenziosa del solito.

Le campagne a nord di Augustodunum erano costituite per lo più da vigneti, con lunghissimi filari che coprivano le basse colline circostanti. Sulle piante le foglie erano ancora piccole e verdi e i rami marroni sembravano delle lunghe fruste avvinghiate ai pali di sostegno. Decine di uomini, donne e ragazzi lavoravano di buon’ora ed erano sparsi ovunque nei campi.

La strada consolare era molto larga e a giudicare dalle pietre, anche molto antica. I custodes videro numerosi carretti trainati da buoi e altri animali carichi di frutta e fasci di legno, dirigersi verso la città. Essi erano gli unici invece ad andare nella direzione opposta. Pochissimi viandanti incrociarono lo sguardo con il loro o risposero al loro saluto.

Il sole risplendeva alto, soffiava un leggero vento da nord, in senso contrario alla marcia dei custodes. Non era irresistibile, ma era freddo abbastanza da suggerire di allacciare i mantelli. Le vigne sulle colline pian piano si diradarono, insieme alle fattorie. Ai quattro viaggiatori ben presto parve di essere gli unici a percorrere la via consolare.

Impercettibilmente il vento si alzò e d’improvviso i cavalli si arrestarono. Come davanti a un ostacolo invisibile i cavalli presero a girare in tondo e a sbuffare nervosi. Non rispondevano più alla briglia e l’animale di Pendaran fu il primo ad imbizzarrirsi. Si sollevò maestoso sulle zampe posteriori e tutti gli altri lo imitarono subito dopo. Quando i cavalli imbizzarriti ricaddero al suolo con le zampe anteriori, pareva tutto fosse tornato normale, ma uno degli animali era tornato giù senza cavaliere.

Un grande cespuglio stranamente vestito di blu emise un lamento. Zenobia ne uscì massaggiandosi le terga con lo sguardo più dignitoso che riuscì a fare in quella situazione.

Elettra e Gaio risero sonoramente, perfino Pendaran mosse un angolo della bocca e sembrò divertito.

“Avrei potuto farmi male sul serio!” Aggiunse, mentre scuoteva via le foglie dal suo abito.

“Ma smettila! Chi va a cavallo, cade!” Elettra provò a scuotere subito il morale della donna.

“Elettra basta, Zenobia ha ragione. Da questo momento in avanti dovremo procedere con più attenzione” sentenziò Pendaran, continuando a scrutare la strada davanti a lui.

Sulla grigia pietra consolare, i custodes erano le uniche anime in vista e presto ripresero la marcia verso nord.

Dopo poche ore la strada divenne ancora più larga, con un’aggiunta laterale di pietra successiva più scura. Molte piccole case di legno sorgevano accanto ai cigli della strada e piccole mandrie di cavalli pascolavano su prati con erba bassa, puntellati da fiori viola.

Le casupole divennero più fitte e conducevano a due grandi edifici di legno e pietra a ridosso di una curva della strada maestra, come a formare una sorta di piazzale più grande.

“Libernum” disse Gaio, con la stessa intonazione che avrebbe avuto una pietra miliare annoiata.

“Non perdiamo tempo, facciamo subito qualche domanda in giro, cerchiamo di capire com’è la situazione qui e magari anche qualcosa sull’uomo col tatuaggio.” Elettra riuscì a concludere la sua frase, lasciando trapelare la sua reale voglia di incontrare quell’uomo per mettergli le mani addosso.

Si recarono alle stalle, dove si identificarono come soldati romani, come se, le insegne sullo scudo di Elettra e gli ornamenti sull’armatura di Gaio, non fossero abbastanza chiari.

Zenobia si occupò di chiedere il cambio con cavalli freschi e cominciò a fare le prime domande in giro. Gli stallieri, dei ragazzi smagriti e con abiti luridi, subito le indicarono un uomo di nome Gilius come la persona migliore alla quale chiedere informazioni.

Una pancia enorme con attaccate braccia e gambe, sormontata da un paio da baffi grandi, neri e folti. I suoi abiti avevano visto tempi migliori e probabilmente anche le sue tasche.

“Benvenuti legionari!” disse Gilius a voce alta. “Spero vi fermiate da noi!” la sua voce risuonò ancora più alta.

“Ancora non lo sappiamo” rispose annoiata Zenobia e aggiunse “Siamo qui per un motivo preciso. Vorremmo sapere dei briganti, Gilius. Diteci ciò che sapete e anche ciò che non sapete”.

Gilius provò per qualche istante a reggere gli occhi scuri di Zenobia, ma poco dopo il suo sguardo incontrò il terreno e iniziò: “Attaccano tutti e ovunque. Mesi fa se la prendevano coi mercanti, ma ora tutti hanno paura. Assaltano anche se ci sono soldati, sembrano spiriti e… tagliano teste.” La sua voce era diventata un sussurro.

Gaio era sempre intento a guardarsi intorno per capire se qualcuno li stesse ascoltando o seguendo ed era lontano di qualche passo.

Pendaran aggiunse: “Cerchiamo un uomo con un tatuaggio blu al polso, come un braccialetto”.

Gilius si limitò a scuotere la testa e tornò al lavoro, aveva sul viso un’espressione preoccupata.

I custodes si riavvicinarono per confrontarsi. Gaio esortò tutti: “Non fermiamoci, continuiamo verso nord, ora, subito.” Elettra e Pendaran annuirono. Zenobia sorrise di traverso: “Quando siamo arrivati gli stallieri mi hanno detto di aver visto l’uomo passare da qui non più tardi dell’alba e…” Gaio la interruppe “A cavallo allora, andiamo!”. Zenobia lo fulminò, poco dopo stava inseguendo tutti gli altri.

Fuori da Libernum i custodes aumentarono l’andatura, i cavalli, ben nutriti e freschi, eseguirono i loro ordini.

Il paesaggio oltre la strada consolare subì un brusco cambiamento. Le vigne scomparvero e lasciarono il posto a piccoli frutteti e fattorie con grandi stalle di legno e mucche che pascolavano in prati con erba alta, che le nascondeva fino al collo.

Un bosco lontano comparve nella parte ovest dell’orizzonte, alcuni faggi sparuti cominciarono a lambire la strada consolare. Un tappeto di foglie verde scuro aveva invaso la pietra grigia, il bosco sembrava fitto e i custodes gli andavano incontro velocemente. Sul lato a oriente la strada ogni tanto doveva curvare intorno a grandi rocce chiarissime alte anche quindici metri.

Proprio in una di queste curve i quattro viaggiatori si imbatterono in altre persone, ne furono sollevati.

Un grande e pesante carro si muoveva lento, trainato a fatica da quattro muli malandati. Il carro aveva un’andatura incerta e con la sua traiettoria strana occupava quasi tutta la strada. I due uomini a cassetta non si accorsero del sopraggiungere dei quattro viaggiatori.

Elettra urlò: “Ehi voi! Voi spostatevi dalla strada!” Nessun cenno dagli uomini sul carro.

Gaio guardò per un istante la parete rocciosa alla loro destra e il bosco alla loro sinistra e disse: “Fratelli, stanno per attaccarci”.

Alle loro spalle comparvero quattro figuri a piedi, tutti armati di un grande scudo di legno e mazze. I loro vestiti erano scuri e malandati e avevano i volti coperti. Sembrava che fossero comparsi dal nulla.

Elettra inspirò e sorrise. Con calma prese il suo toxon dallo sgancio della sella, trasse una freccia dalla faretra, mirò per un singolo istante e poi lasciò la corda. Dopo un breve sibilo uno dei briganti cadde riverso al suolo con la freccia di Elettra in fronte.

Gli altri tre caricarono urlando come furie. I loro complici che conducevano il carro, piombarono su Zenobia e Pendaran e li trascinarono giù dal cavallo. Gaio smontò, imbracciò lo scudo e sfoderò il gladio. Elettra combatteva raccolta dietro il suo scutum, tenendone a bada due, il terzo raggiunse Gaio, ma sbatté contro il suo scudo.

Pendaran ringhiò dopo essersi beccato una coltellata, ma poco dopo riuscì ad allontanare il brigante agitando il bastone. Zenobia aveva sfoderato una strana lama ricurva ed aveva ferito il suo assalitore a una spalla.

La battaglia infuriava sulla strada, ma i briganti questa volta non avevano a che fare con comuni legionari. Elettra veloce come un serpente aprì la guardia e affondò la sua ensis strisciando il fianco di uno dei briganti, anche Gaio accorciò e riuscì a sferrare una testata sul viso del suo avversario.

Il bastone di Pendaran scoccò un colpo a vuoto sul selciato e il brigante sferrò un altro colpo veloce col suo pugnale, il custos vacillò.

Gaio si voltò e vide Pendaran col braccio che gocciolava sangue: “Roma Invicta est!” urlò a squarciagola. L’esploratore schivò come poté i colpi del brigante e in un batter d’occhio trascinò Pendaran verso i cavalli. Nessuno avrebbe toccato il custos, dietro il suo scudo.

Elettra ferì nuovamente l’uomo già toccato sul fianco e urlò: “Siete in tre e siete ancora in pochi!”

Dopo qualche altro colpo che servì solo a prendere le distanze, i briganti iniziarono a fuggire nel bosco.

Elettra e Gaio si precipitarono a riprendere gli archi. “Colpisci quello ferito” suggerì Gaio. La guerriera non rispose, aveva già la corda tesa appoggiata sulla guancia. Scoccò, la sua freccia colpì il brigante nella schiena, dopo arrivò la freccia di Gaio a finirlo. Gli altri erano già lontani e si persero nella macchia.


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