[MyGdr] Lex Arcana XII – Finale

Il Forte e i deboli

Quella notte Elettra aveva chiesto di montare la guardia alla locanda di cui erano ospiti. Quando uscì in strada armata di tutto punto, trovò due legionari appisolati sul loro pilum.
La guerriera si schiarì la voce e le due guardie sobbalzarono. “Andate a mangiare qualcosa, oggi dovrete essere in forza per portare i nostri zaini”. Un moto di rabbia percorse una delle due guardie, Elettra affrontò il loro sguardo serenamente, poi entrarono in locanda rassegnati.
Nella sala comune Forgal e Gaio erano seduti allo stesso tavolo e parlavano sommessamente.
“Ho trovato dei portantini volontari che si erano addormentati durante la guardia” Elettra addentò pane e miele con un largo sorriso sulle labbra. “Non darò mai la mia roba a un altro soldato” rispose Gaio senza badare troppo all’aria trionfante della custos. Di contro questa gli sferrò un pugno sulla mandibola che lo mandò dritto steso sulla panca. “Te l’avevo detto che ti avrei colpito e oggi mi sento di buon umore.”

Forgal sorrise di sottecchi e cambiò discorso: “Sembrate innamorati. Mi sono permesso di inviare due esploratori verso il forte poco prima dell’alba, gli ho affidato due cavalli e confido che li incontreremo di ritorno sul nostro cammino”. Il vessillifero attese, Elettra guardò Gaio. “Bene, signifer, una buonissima idea” ribatté secco il custos, mentre si alzava dalla sua panca.
Uscirono in strada, qualche soldato si affrettò ad incolonnarsi con gli altri, sotto lo sguardo di Elettra, che alla fine diede l’ordine di marciare. Zenobia a causa dei suoi piedi malmessi, chiese di poter cavalcare uno dei cavalli disponibili e Forgal fu ben lieto di offrirle il suo.
La colonna poteva contare una dozzina di legionari bene armati, tre cavalli, un piccolo carro scoperto mezzo vuoto e i quattro custodes.

“Ma sei sicura che si siano offerti volontari per portare la nostra roba? Non potrebbero metterla nel carretto?” chiese Perseo guardando i soldati che sbuffavano ad ogni passo. “Non si sono offerti volontari, la pietà è una pessima maestra”. Elettra non cambiò idea e la marcia continuò.
La mattina trascorse fredda, soleggiata e lenta, nemmeno un alito di vento a disturbare quella quiete apparente.
“Dove sono le servae, questa mattina non le ho viste” Gaio esordì con quella domanda, come se avesse avuto un improvviso pensiero. “Le abbiamo affidate al locandiere, sembrava un uomo onesto. Ma visto che non è semplice fidarsi di questi tempi, Forgal ha precisato all’uomo, che in caso di fuga, avremmo preso la locanda come risarcimento” Zenobia sembrava compiaciuta dal comportamento di Forgal, almeno in quella occasione.

Un soldato dalla testa della colonna urlò: “Cavalli in avvicinamento!”, dopo pochi istanti aggiunse: “Romani!”.
Gli esploratori galopparono a gran velocità incontro alla colonna e arrestarono i cavalli soltanto davanti a Forgal e Zenobia.
“Il forte è pieno di uomini, non siamo riusciti a contare quanti, questa notte hanno fatto un baccano come se stessero festeggiando e…” Elettra li interruppe “Quanto manca per il forte?”
“Probabilmente meno di 5 miglia” rispose il soldato, mentre il cavallo, trottava intorno inquieto e stanco per la corsa. “Camminiamo per altre due miglia al massimo. Ora andate! Trovate un posto dove accamparci”. Elettra riprese subito a camminare, Gaio montò su uno dei cavalli della colonna e si lanciò al galoppo insieme agli esploratori.

Il campo consisteva nell’aver sistemato i cavalli intorno al carretto con le briglie lente, non fu sollevata nessuna tenda, nessun fuoco fu acceso. Una piccola macchia di bosco, composto da non più di una decina di file di alberi privo di sottobosco, separava il campo dalla strada che si dirigeva a Sud verso il forte, ancora fuori dalla vista. A tutti fu imposto il silenzio e le uniche parole erano quelle di Forgal e Elettra, tutte espresse con tono di voce sussurrante.
“Non va bene comandante. Esporre i nostri scudi alle frecce per così tanto tempo, sarebbe un buon diversivo, ma metà di questi soldati non combattono da anni, alcuni di loro potrebbero non reggere…”.

Elettra si innervosì dopo aver udito quelle parole.
Forgal, Gaio, Elettra, Perseo e Zenobia guardavano senza sosta un disegno fatto con un pezzo di carbone da uno dei due esploratori su un sottile panno chiaro. “Potremmo… no, scusate” si censurò Zenobia, che in quel momento non disdegnava di appoggiare la testa sul bicipite di Forgal.

“Avete detto che nella zona qui ad Ovest, c’è una piccola scarpata, giusto?” tutti annuirono, sentendo le parole di Perseo. “Se provassimo ad arrampicarci, di certo non si aspettano un attacco da una zona così impervia, tanto che hanno anche evitato di rinforzare le mura”.
Tutti sollevarono lo sguardo dal panno con la mappa improvvisata e si guardarono negli occhi.
“A quel punto se i legionari attaccano da fuori non saranno più soli, con noi all’interno” Perseo concluse la sua idea.
“E io so anche come dare il segnale d’attacco” Gaio finalmente sorrise.

Al tramonto, dopo tutte quelle ore di silenzio e sguardi bassi, Zenobia andò al carretto e facendosi aiutare da due soldati, tirò fuori un paio di grandi otri colme di vino. Ne fu versata una mezza gamella per tutti e si ritrovarono a fissarsi negli occhi a lungo prima di bere, in silenzio.
“Roma Invicta Est!” sussurrò Forgal
“Semper!” fu il labiale unanime di tutti gli altri.
Gli otri furono posati, tutti mangiarono il cibo pronto che si erano portati da Aque Celeres e attesero la notte.
Gaio andò da Zenobia per svegliarla: “Ci sono” lei lo sorprese e si voltò su un fianco a guardarlo, avvolta nel suo mantello. “Siamo sicuri, che non entreremo lì dentro e ci ammazzeranno tutti?”. “Andiamo dai”. Disse Gaio senza rispondere.

Senza torce, né altri lumi, il contubernium composto dai quattro custodes si avviò prima nel boschetto subito davanti a loro e poi nell’ampia radura immersa nella luce della luna.
Gaio con l’arco in pugno e lo scudo fissato sulla schiena guidò il gruppo prima per un pezzo diretto a Sud e poi voltò ad Ovest, controvento.

Il forte apparve loro come una costruzione con mura basse intervallate da palizzate appuntite, tutto circondato da un fossato profondo, vuoto e secco come il deserto. Il fossato si interrompeva in una scarpata che piombava a picco per una ventina di metri almeno. I custodes si avvicinarono pochi passi alla volta, assicurandosi che non ci fossero ronde in quella zona del forte. Quando nessuna guardia si mostrò e decisero di attraversare il pianoro che separava il loro nascondiglio dal fossato.

Si calarono in silenzio, trascinandosi con le spalle alle pareti di terra. Dentro il fossato erbacce e sterpi secche scricchiolavano ad ogni loro passo, per un tragitto che parve non terminare mai.
Arrivarono alla scarpata e un soffio d’aria gelida provenne dal fondo del baratro.
“Se cadiamo, andremo dritti nell’Averno senza morire” Perseo fece un passo indietro.
Elettra prese la corda che portava a tracolla, tra spalla e fianco, legò un rampino ricurvo e lanciò. La Sorte era ancora dalla loro, anche dopo molti strattoni il rampino non cedette. Elettra puntò il dito prima verso di sé, poi toccò la corazza di Gaio, poi Perseo e infine Zenobia, tutti annuirono. La guerriera si arrampicò fino all’imbocco delle mura del forte e sparì dalla vista. Gaio e Perseo la seguirono. I tre oltre le mura trovarono un riparo all’ombra di una capanna.
Zenobia tardava.

“Ehi! EHI!” la voce di Zenobia oltre le mura proveniva come una sorta di sussurro urlato. “Aiutatemi!”.
Gaio uscì dal nascondiglio e si sporse. Zenobia era appesa alla corda, in modo strano, intorno alle gambe e a testa in giù, non riusciva a tornare in equilibrio. Gaio ed Elettra staccarono il rampino e la tirarono su a braccia.
“Ma come…” Gaio provò a capire “Non chiedere” rispose Zenobia.
Tutti impugnarono gli archi e prepararono una freccia senza tendere la corda.
All’interno c’era un grande edificio centrale rotondo con un tetto spiovente di paglia, fango e travi. Accanto a loro c’era un altro caseggiato, che a giudicare da versi e odori, poteva essere una stalla. Altre piccole capanne erano state costruite nella zona più riparata dalle mura. I passaggi tra le case erano illuminati da bracieri con fiamme alte fatte con sterpi sottili.
Non c’era nessun altro segno di vita in giro.

Gaio trasse un sospiro e camminò verso la parete arrotondata della casa al centro, gli altri cercarono ripari diversi, per cercare di avvicinarsi ai portali di accesso.
Un uomo mezzo addormentato con una spada infoderata e abiti semplici, si palesò dalla via che conduceva alle stalle. Quattro frecce partirono quasi all’unisono e lo colpirono al petto e alla gamba. Nessun fiato, i custodes prepararono subito un’altra freccia.
Raggiunsero la parte anteriore della grande capanna rotonda, dove un altro uomo armato di lancia si guardava intorno pigramente. Gaio fece cenno a tutti di dirigersi verso la zona delle mura, ove si riunirono.
“Ammazziamo la guardia con le frecce. Subito dopo io e Perseo andremo alla porta, mentre Elettra e Zenobia ci guarderanno le spalle” disse Gaio con una voce appena udibile.

Tutti presero posizione e le frecce partirono. Zenobia colpì la parete della capanna, gli altri centrarono l’uomo, che cadde bocconi per terra. La sua lancia toccò il suolo e rimbalzò più volte facendo un bel frastuono.
Un uomo barbuto, attirato dal rumore, si sporse con la testa da una degli ingressi alle capanne vicino al loro nascondiglio. Si voltò e vide i quattro custodes con gli archi in mano e iniziò a correre all’impazzata urlando come un ossesso.
“Presto!” urlò Elettra, mentre si slacciava lo scudo dalla schiena.
Perseo scattò dritto verso il portale. Gaio prese due frecce legate insieme con un laccetto, lo tagliò. Appoggiò le punte in uno delle fiamme dei bracieri e queste avvamparono. Tese la corda e due piccole fiamme schizzarono fuori dalle mura, verso la luna.

Zenobia caricò un’altra freccia e centrò il fuggitivo sul ginocchio, che cadde a terra e questa voltò urlò per il dolore.
Un gruppo di persone sbucò dalla capanna centrale tutti riparati dietro gli scudi e cercando di capire cosa stesse succedendo. Elettra afferrò lo scudo, poggiò la sua lunga spada sul bordo superiore “Se qualcuno mi sfugge, inchiodalo” e partì urlando verso la capanna centrale.
Perseo quasi sbatté contro due guardie che rientravano dal portale del forte. Affondò immediatamente il suo gladio e ne colpì uno sul braccio, Gaio arrivò di soppiatto e riuscì a colpire lo stesso alla coscia e poi alla schiena. Perseo scambiò dei colpi con l’altra guardia, poi scartò di lato e si lanciò verso il portale.

L’impeto di Elettra fu tale da schiantare uno di quegli uomini all’interno della parete della capanna, lasciandolo incastrato all’interno trafitto dai rami e schegge, poi si voltò verso gli altri, sempre con la spada appoggiata sul bordo dello scudo e gli occhi che sbucavano appena. I tre uomini si lanciarono sulla guerriera imprecando, uno di loro provò a colpirla prima con un bastone e poi di ritorno con lo scudo, ma si beccò in faccia lo scudo di Elettra. Un altro si mise sul fianco provò a raggiungerla con la spada e la guerriera schivò in tempo. Il terzo decise di aggirarla. “Zenobia, non farli allontanare!” In risposta una freccia sibilò nella loro direzione senza colpire nessuno. Il primo uomo si distrasse e Elettra fulminea gli infilzò il ventre con la spada. Un’altra freccia saettò nella loro direzione sfiorando Elettra al viso.

Perseo arrivò al portale: “Gaio la trave è troppo pesante!” per quanto il custos si sforzasse non riusciva a sollevare il pesante legno che lo sbarrava. Improvvisamente da un angolo oscuro sbucò una terza guardia che scagliò un pesante vaso di creta contro Perseo. L’augure fece in tempo a voltarsi per scappare, ma il vaso lo colpì alla schiena, mandandolo in frantumi e gettando il custos sul terreno. Gaio vide Perseo cadere a una decina di passi da lui, si voltò verso la guardia che stava affrontando, si piegò tutto raccolto al suolo e colpì il suo avversario vicino alla caviglia, poi lo finì infilandogli il gladio in gola.

Elettra sentì una fitta alla schiena e vide che la lancia dell’uomo aveva trapassato la sua armatura, raccolse le sue forze e si mise contro la parete della capanna chiusa dietro lo scudo, con davanti due nemici. Zenobia scoccò un’altra freccia e riuscì a colpire l’uomo armato di lancia dietro la coscia, che si allontanò dal combattimento.
Un poderoso urlo risuonò al di sopra degli scontri, Forgal aveva ordinato la carica, nel buio un vessillo scarlatto iniziò ad avanzare velocemente verso il forte.

Gaio batté il gladio contro la borchia dello scudo per sfidare il suo corpulento avversario: “Dai vigliacco forza, di cosa hai paura!” La guardia mise un piede sulla schiena ferita di Perseo e passò oltre, Gaio iniziò ad arretrare per allontanarsi dal portale. Perseo aprì un occhio, vide la guardia allontanarsi e si sollevò a fatica. La schiena gli doleva, provò a raggiungere la ferita e trasse la sua mano piena di sangue. Dall’esterno i legionari chiamavano a gran voce: “Gaio! Elettra!” Perseo si trascinò fino al portale e urlò: “Lanciatemi una corda, presto!” Una corda fu lanciata dall’esterno, Perseo la legò alla pesante trave che sbarrava l’accesso come meglio poté, la vista iniziava ad annebbiarsi. Fece in tempo a lanciarne un capo dall’altra parte e si accasciò in un angolo.

Elettra si staccò dalla parete della capanna contro cui era rifugiata, Zenobia caricò alle spalle il suo avversario con la scrama, scagliando colpi furiosi. L’uomo così accerchiato, abbandonò lo scudo e fuggì via con una spalla ferita.
Altri cinque uomini uscirono dalle capanne con indosso delle armature di cuoio e bronzo e grandi scudi da battaglia. Elettra con le ultime forze ne sorprese uno appena uscito dalla sua capanna e gli infilò la spada nella schiena fino all’elsa. Poco dopo la trave del portale fu sollevata e i legionari romani si riversarono nel forte.

Un’onda rosso scuro di mantelli ed elmi piumati si unì ai combattimenti con urla impetuose.
I cinque uomini in armatura che erano usciti dalle capanne furono soverchiati e uccisi dopo una scarsa resistenza. Dalla stalla un arciere nascosto riuscì a sorprendere un legionario e ad ucciderlo con un paio di frecce bene assestate, poi abbandonò l’arco e si lanciò in una veloce arrampicata oltre le mura di cinta. Forgal strappò un pilum dalle mani di uno dei suoi e lo scagliò nella sua direzione centrandolo in pieno.
Le ostilità cessarono con le urla trionfanti del Romani.

I custodes e Forgal si riunirono intorno a un braciere. Elettra si teneva in piedi con l’aiuto dello scudo, un legionario teneva in piedi Perseo.
“Brenno e atri uomini tre o forse quattro si sono rifugiati in una specie di cantina, sotto la capanna centrale e non intendono uscire” Forgal era coperto di piccoli tagli, il suo tono di voce era privo di cautele e colmo di trionfo.
“Restiamo qui e affamiamo quei topi. Mangeremo il loro cibo, berremo il loro vino. Gli stenti li costringeranno a uscire” Elettra aveva parlato con le labbra serrate dalla rabbia.
“Elettra, se si sono rinchiusi lì dentro è perché possono resistere, avranno cibo con loro e solo gli dèi sanno se non stanno già scavando un buco per fuggire da chissà dove”. Perseo restava lucido nonostante il suo pallore lunare. Elettra sputò per terra.

Gaio abbandonò il consesso. A lunghi passi si avvicinò alla capanna e superò il legionario alla porta il gruppo lentamente lo seguì.
“Ehi! Mi sentite!” urlò Gaio battendo i sandali sul pavimento in legno della grande capanna. “Brenno ti sfido a duello! Così non ci saranno ulteriori morti stupide, se vinci hai la mia parola che tu e i tuoi potrete andar via, altrimenti se non altro potrete morire fuori dal quel buco!”.
Nessuno rispose.
Elettra per un tempo infinito decise di battere il suo scudo sul pavimento della capanna, e disse che lo faceva per non farli addormentare, gli fu risposto da un legionario che così nessuno sarebbe riuscito a dormire, nemmeno loro.
All’alba la botola sul pavimento si aprì.

Ne spuntò prima uno scudo scuro, poi dietro di esso un uomo alto, castano, con capelli lunghi alle spalle raccolti in una coda piccola. Indossava un piccolo elmo con dei fregi di bronzo, che gli copriva solo la parte superiore della testa e un’armatura di cuoio bollito senza altre insegne. In mano stringeva una spada poco più lunga di un gladio, larga in punta e stretta sull’elsa e ne portava un’altra infoderata alla cintura.
Altri quattro uomini uscirono dalla botola, tutti armati allo stesso modo.
Il legionario di guardia urlò l’allarme e si mise in guardia pronto ad affrontare il suo avversario.
Tutti si svegliarono all’istante e si schierarono fuori dalla capanna con le armi spianate.
“Fermi!” Gaio strillò al di sopra di tutti i rumori.

Si mise davanti agli scudi dei legionari e Brenno e le sue guardie uscirono fuori dalla capanna.
Il duello cominciò senza convenevoli.
Brenno con un sandalo pizzicò la polvere del terreno per lanciarla in faccia a Gaio che fu lesto a parare con lo scudo. Poi lo assaltò con una serie colpi veloci e furiosi, in basso e in alto. Gaio si raccolse dietro lo scudo e lo sollevava e abbassava ritmicamente cercando di pararne il più possibile. Un colpo lo raggiunse alla spalla e Brenno fece scivolare la lama per fare più danno possibile.

Gaio abbandonò il gladio per il dolore, che tintinnò al suolo. Brenno lo calciò via e continuò a sferrare i suoi colpi incalzanti, d’improvviso la sua spada sparì dietro la schiena e affondò come un serpente. Gaio questa volta non fu così veloce: lo scudo deviò il colpo verso la sua coscia. Brenno ritirò la spada e sorrise.

“Fermi!” Forgal si rivolse ai duellanti, che si voltarono verso di lui.
Gli uomini di Brenno erano circondati dai legionari romani che pizzicavano le loro gole con dei pugnali.
“Siete solo dei traditori e dei vigliacchi!” urlò Brenno sferrando il colpo di grazia verso Gaio.
Sulla sua strada trovò lo scudo di Elettra, che prima parò il fendente e poi lo trafisse con la sua lama.
“Elettra, perché…”
“Avevamo ordini di Roma e Roma non si discute”.


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