[MyGdr] Dungeon World I

La scatola rossa

Era il primo mese dell’anno, Greenstone provava ad essere una cittadina normale. Normale per quanto possa esserlo una cittadina molto vicina al confine del regno. Il re aveva deciso pochi mesi prima di varcare quel confine con i suoi cavalieri più fidati ed il suo esercito per affrontare, si spera per sempre, le orde dei cadaveri destatesi ancora una volta.

“Ma dico io, se questi continuano a ridestarsi, meglio distruggere ciò che li tira in piedi, no?”

disse un anziano avventore ad un altro più anziano e così curvo che fissava il pavimento.

I due si trovavano dentro una stanza ben illuminata e riscaldata da un camino con una fiamma scoppiettante. Su un tavolo c’era pane, salame e formaggio stagionato che sembrava quasi grigio, in un angolo due grandi scodelle di frutta. Poco più in là due fiaschi di vino e delle brocche d’acqua che restavano puntualmente piene alla fine della serata.

La stanza cominciò a riempirsi di gente, uomini e donne. Una nana all’ingresso controllava il pedaggio in pezzi d’argento. Qualcuno portava capponi ben legati, cesti di frutta, grosse forme di formaggio, piccoli sacchetti dal contenuto misterioso.

Mulgra, questo il nome della nana, era una creatura ben piantata a terra dai capelli rossicci chiari con alcuni ciuffi bianchi, segno del passare degli anni. Amava indossare sempre lunghi bracciali di cuoio di una vecchia armatura, che le coprivano dal gomito alle dita, per il resto si vestiva quasi sempre con le stesse cose: lunghe palandrane senza maniche, con i bicipiti scoperti e brache di tela che lavava tutte insieme una volta all’anno, per farlo si prendeva un paio di giorni liberi.

“Non puoi entrare se non paghi, Dwayne” disse Mulgra, facendo passare un altro paio di persone, che salutò con un cenno della testa.

Dwayne sollevò un sopracciglio, era una montagna di muscoli quel tale, ma stupido come l’acqua.

“Se voglio entrare, io entro, ho saputo che stasera direte tutto di Forte Bargle”. Dwayne cominciò a fare piccoli passi verso l’interno dello stanzone, ma Mulgra gli si parò davanti.

“Senti Dwayne se non vuoi prendere un pugno nei tenerini, e andartene a casa piangendo, meglio se torni coi soldi, oppure con qualcosa che…” Mulgra non terminò la frase che Dwayne con un solo gesto del braccio la spostò via, facendola sbattere contro la parete di pietra della stanza.

Due stivali toccarono il pavimento, in un angolo buio dello stanzone.

“Cosa succede qui?” una voce arrivò dritta verso la nana che si riprese dalla spinta e si mise a tirare Dwayne per i vestiti, sperando di spostarlo, come se spostare un bue di quelle dimensioni fosse un’impresa semplice.

Un uomo uscì dall’oscurità portandosi alla luce del camino. Era alto più di un uomo di quelle parti del regno, portava un pizzetto lungo e ben curato ormai grigio e abiti semplici, se non fosse per un grandissimo fazzoletto scuro legato in un modo strano che gli copriva la parte superiore della testa e terminava in una specie di coda intrecciata con tanti nodi diversi.

“Dwayne, sei venuto a fare casino nel posto sbagliato” disse l’uomo.

Dwayne lo fissò e disse: “Le..Le…Leandro, senti non ho soldi oggi, ti pagherò la prossima volta”.

“No, esci” la voce di Leandro sembrava lontana centinaia di miglia da quella stanza.

“E se io non voless…” Dwayne non terminò la frase che un randello di legno uscito da chissà dove lo colpì tra il collo e la spalla, Mulgra arrivò di corsa e gli sferrò un pugno dritto dritto nei tenerini, esattamente come promesso.

Dwayne cadde come un armadio senza più i sostegni, sollevando un polverone e un gran frastuono di risate.

“Dai vattene…” “Sei un guastafeste…” le parole degli altri ospiti, aggiunsero la beffa al danno.

“Ora piantatela, lasciatelo stare” aggiunse Leandro mentre trascinava con l’aiuto di Mulgra l’energumeno fuori dallo stanzone.

Quando rientrò Leandro vide che uno dei suoi due vecchi avventori stava attizzando il camino e che nello stanzone c’erano almeno una quindicina di persone.

“Per stasera basta così” disse Leandro alla nana, che annuì e chiuse la porta che dava all’esterno, insieme alle speranze di quanti erano ancora fuori ad attendere.

“Quindi?” provò a dire una donna con la bocca piena di pane e salame, “Qui stiamo invecchiando!”.

“Tanto non miglioreresti comunque, se è questo che speri”. Leandro scatenò le risate di tutta la compagnia e la donna gli lanciò un’occhiataccia.

Mulgra andò a prendere un paio di sgabelli dal piccolo angolo buio, un più basso per lei e uno normale per il suo capo. La nana andò a prendersi pane, salame, formaggio e un bicchierone di vino, si sistemò sul pavimento alla distanza giusta dal camino.

Leandro si accomodò sul suo sgabello, appoggiò i piedi sui traversini, cacciò la pipa da una delle sue borse da cintura, la caricò e la accese con un bastoncino preso dal camino.

Quello era il segnale che tutti stavano aspettando. Tutti presero una sedia, uno sedile, un pitale o un’asse del pavimento su cui sedersi, i piani che ognuno di loro aveva fatto sul dove sedersi ad inizio serata, andarono a farsi benedire.

Nello stanzone scese il silenzio, solo il fuoco del camino si permetteva di sussurrare e crepitare.

Leandro sbuffò il fumo verso l’alto.

“Questa volta sembra che ce l’abbiano fatta, quei maledetti.

Quel balordo di un uomo pallido del nord, quel tale Skarsgard, ha trovato le persone giuste e gliel’ha picchiato nel sedere del Trono di Ferro”

A quel nome un mormorio percorse la sala.

“Da quanti anni non c’erano degli avventurieri decenti qui? Cinque, dieci? Considerato che io e Mulgra ci siamo ritirati 12 anni fa”

“E anche allora non mi pare che tu fossi decente!” disse un uomo che si era alzato a posare il mantello sulla sedia dietro di lui.

“Tua sorella, non dice così però!” Leandro rispose e giù ancora risate e occhiatacce “Perché mia sorella ha cattivo gusto!” rispose ancora l’uomo, le risate divennero fragorose.

“Birra pagata” disse Leandro indicando l’uomo con la sua pipa e un sorriso appena accennato.

Mulgra con le braccia aperte, ma senza lasciare il panino, invitò tutti a sedersi e a tacere.

“Allora stavo dicendo: l’altra settimana io e Mulgra vedemmo Skarsgard con quella sua assistente elfa, Lily, quella tizia che sembra viva sotto un cespuglio di capelli, che si recavano alla gilda degli avventurieri, belli dritti come dei fusi.

Skarsgard si era portato lo spadone, passi lunghi e sguardo dritto. Lily non faceva che chiamarlo ad alta voce per attirare la sua attenzione, ma niente, testardo come un mulo bianco, quell’animale lì nemmeno la guardava. Andava dritto e basta.

Io e Mulgra ci guardammo e un istante dopo li stavamo seguendo.

Arrivarono entrambi alla gilda degli avventurieri e sentì lei che disse –lascia stare lo faremo quando arriveranno- e lui non girò nemmeno la testa. Entrarono nella gilda poco prima del tramonto, il sole non fece in tempo a scendere che erano già usciti.

Lui stringeva in mano un foglio, che sbatteva parecchio col vento di quella sera. Noi due tornammo di corsa alla taverna, io sapevo che quella sera stessa avrei saputo cosa era successo in gilda”.

Nello stanzone nessuno si mosse, qualcuno disse: “Quel tale mi fa una paura, alto com’è, con quei capelli che non si capisce se sono biondi o bianchi, quando lo incontro cambio strada”.

“E fai male” rispose Leandro “Non farebbe male a nessuno, a meno che non gli pestiate i piedi.” Volse gli occhi al soffitto dello stanzone e riprese il discorso

“Quella sera in taverna una voce mi riferì che Skarsgard era andato al palazzo del Sangue e della Spada per segnare il nome del Braccio Armato su una delle ricompense, quella di Forte Bargle.

Due giorni di tempo, mappa completa, duecento corone d’oro.”

Ci fu un boato di stupore al risuonare di quella cifra.

“Non sono poi così tante” aggiunse Leandro.

“Ehi fino a duecento corone ci arrivo, ma mappa completa cosa vuol dire?” la signora dell’occhiataccia tornò alla carica con una tazza di vino in mano.

Mappa Completa, vuol dire che devono ripulire tutto e disegnare la mappa completa delle stanze rimaste in piedi, sempre che ne siano rimaste” ripose Mulgra prima di addentare un altro morso del panino imbottito col salame.

Leandro espirò un’altra boccata di fumo grigio chiaro che attirò l’attenzione di tutti e riprese il racconto.

“Ora sapevamo quale missione avrebbero dovuto compiere, sapevamo che era del Braccio Armato, la compagnia di Skarsgard, ma non sapevamo chi l’avrebbe accettata. Ricordo che passai una notte intera a pensarci.

A parte qualche buon mercenario, un paio di incantatori da mercato e gli stessi Skarsgard e Lily, non c’erano molte possibilità.

E invece presto fui costretto ricredermi.

Passarono tre giorni, quasi ci stavamo dimenticando del Braccio Armato. Un ragazzino irruppe in taverna e mi disse che c’era un grande orco con un’ascia enorme che passeggiava a Greenstone in piena luce e con le zampe appoggiate sulla strada principale.

Il pelleverde era accompagnato da altri tre figuri, armati di tutto punto, che se ne andavano bel belli verso la zona a Est della città, lo Stagno di Rame. Se ci fosse stato un orco in città le guardie sarebbero state allertate e avrebbero suonato le campane dell’adunata. Quindi doveva essere un mezzorco, e a Greenstone non ce n’è sono tanti.

Sapete chi era quel mezzorco?”

La domanda rimase sospesa nell’aria, Leandro conosceva la risposta e gongolava sorridente.

Un uomo disse: “So che lo chiamano Wag” l’avventore indossava una tunica sdrucita rosso scura e sedeva sul suo stesso mantello poggiato sul pavimento di legno.

Leandro annuì, un po’ deluso per la mancata sorpresa che avrebbe voluto regalare al suo pubblico, poi proseguì:

“Non è un forestiero, so che vive a Greenstone da tempo ed è sempre stato uno del Braccio Armato, dicono in giro che sia anche molto amico di Skarsgard. Gli altri tre invece…”

Se la curiosità fosse stata un cibo, nello stanzone si sarebbero visti degli affamati.

“Uno di loro è uno Stark, un certo Siver, un tizio strano, non più un ragazzino, che se ne va in giro con un mantello colorato e armi un po’ di città, sottili come stecchini. I conti Stark lo sapete tutti chi sono, pare che lui sia uno di loro, anche se non ho ancora capito come ci è imparentato.

Un altro lo chiamano Rick, è un mezzelfo che se ne va in giro con un bastone da viaggio di buon legno, i capelli arruffati, ben vestito, dieci pezzi d’argento contro uno, che si tratta di un mago.

L’ultimo tizio porta dei paramenti sacri del Padre delle Battaglie e un martello d’arme alla mancina. Armatura di maglia e zaino, come se dovesse andare al fronte, pare si chiami Fabien, ma non so altro.

Lo so, lo so: un servitore di Tempus è a Greenstone sulla strada principale… Col Rosso che cammina, la guerra si avvicina…, il proverbio lo conosciamo tutti, ora non affannatevi a pensare che vi riesce male e ascoltatemi.

Così questi quattro porcellini, ben vestiti ed armati tutti quanti che passeggiano verso Lo Stagno di Rame, dove si trova la sede del Braccio Armato, non poteva essere una coincidenza.”

Altro sbuffo di fumo grigio verso il soffitto della stanza.

“Avventurieri: guai oggi, domani e ieri” disse la vecchia che finalmente aveva trovato il momento per interrompere Leandro.

“Preferisci il Trono di Ferro che si riempie la pancia con il commercio delle armi verso il fronte?” ripose il ragazzo che aveva portato i capponi legati.

“Non dico questo…. che maleducato” bisbigliò la vecchia.

“Lo sanno tutti che quelli del Trono di Merda, se ne vanno in giro a menare i fabbri per farli lavorare di più” rincarò la dose il ragazzo dei capponi.

Leandro scese dallo sgabello e fece cenno ai due di fermarsi, poi riprese il racconto:

“Quella sera uscii e raggiunsi il Braccio Armato. Sembrava come ai vecchi tempi, quando il palazzo si chiamava… si chiamava… non lo ricordo più. Candele accese ad ogni piano, ragazzini di guardia all’ingresso, altri che portavano fuori in cortile manichini per l’addestramento, armi e altra roba. Tutto sembrava in movimento. Mi trovai una casetta abbandonata in un palazzo di fronte, con una bella finestra che guardava un pezzo del cortile del Braccio Armato e mi accesi la pipa.

Non feci quasi in tempo a sedermi che vidi uscire i quattro dal cortile, diretti verso la piazza. Mi lanciai dalla finestra e…”

Un mormorio scosse gli ascoltatori “Cala, cala” disse uno di loro.

“Bè insomma mi sono arrampicato di sotto e…” ripropose Leandro

“Cala, cala”.

“Uscii dalla porta, ma feci le scale di corsa, va bene?” La folla sorrise ed anche Leandro: “svoltai subito quei due o tre vicoli che ci separavano per capire dove stessero andando. Andavano alla gilda degli avventurieri belli spediti a grandi passi. Eravamo arrivati in piazza che mi accorsi che non ero l’unico ad aver seguito Wag e i suoi compagni.

Un tale Faslic, un tipo che frequenta la taverna di Krink, buon tiratore e gran bevitore, stava appoggiato al palazzo dell’Emissario quindi un paio di strade più a Nord e teneva gli occhi fissi su di loro. Mi fermai subito.

Poi vidi che Faslic faceva un segnale a un altro tizio, un nano che però non conoscevo e che si mise ad andare dietro al mezzorco e agli altri.

Sembravano malintenzionati.

Feci appena in tempo a pensarlo che Stark, Rick e il sacerdote salirono in gilda, mentre Wag rimase giù ad aspettarli e a giudicare da quante dita nel naso si stava mettendo, pare si stesse anche annoiando.”

“Un nano?” chiese Mulgra.

“Bruno di capelli, barba ispida con un grande anello, non aveva armatura o altro” Leandro rispose alla sua amica.

“Non mi pare uno così viva a Greenstone o lo conoscerei, secondo me è un forestiero” disse Mulgra parecchio crucciata.

Leandro strinse gli occhi e guardò in alto, come per cercare di recuperare i pezzi della storia.

“Iniziai a fare il giro largo della piazza per avvicinarmi il più possibile, quando vidi Wag letteralmente volare via lanciato come un cucciolo di cane. Strisciò con la faccia sul selciato per 4 forse anche 5 passi.

Poi vidi comparire quell’enorme imbecille di Gedeone dietro di lui con in mano un grosso tronco d’albero scortecciato al quale aveva infilato due maniglie di ferro”

La tensione degli avventori saliva, come la corrente del fiume sotto la pioggia.

“Quindi il Trono di Ferro sapeva già tutto!” disse l’uomo vestito con la tunica rossa.

“Hanno parecchi uomini fidati in gilda e avevano messo quella feccia ad aspettarli, chiaro come il sole. Magari avevano anche pagato qualche guardia per fare il giro largo…”

“Ma certo!” “Sicuro!” “Quei maledetti!” tutto condito da parolacce e sputi.

“Calma, calma, questa taverna è sporca, ma rispettabile.

Wag si alzò sorridendo come un beone. Un istante dopo prese la sua enorme ascia bipenne dal fodero sulla schiena e caricò Gedeone. Ma siccome quello stupido già pensava di aver vinto, si accorse di Wag solo all’ultimo. Fece appena in tempo a sollevare il tronco che Wag glielo spaccò in due con un sol colpo!”

In sala tutti saltarono per la sorpresa.

“Wag mollò l’ascia e iniziò a prenderlo a pugni in faccia, Gedeone finì per terra e poi… arrivarono le guardie”.

In sala crollò la delusione più assoluta.

“Non sono riuscito a sentire le guardie o Wag, ma per fortuna, in quel momento uscirono dalla gilda anche gli altri tre e mi parse che sistemarono tutto con la solita stecca a quei bastardi.

Quella notte stessa venne a trovarci in taverna una mia carissima amica della gilda. Mi disse che un gruppo di avventurieri aveva chiesto informazioni su una missione… Forte Bargle”.

“Ma ci è morta un sacco di gente, è un posto maledetto!” disse subito il ragazzo dei capponi.

Leandro sorrise con un angolo della bocca “Forse sì e forse no.”


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